L'universo tende segretamente alla vacuità

16 feb 2011

Riflessioni sul negazionismo.

È interessante capire come il metodo adottato dagli storici negazionisti sia caratterizzato da un’apparente similitudine con quello adottato dagli storici ufficiali: entrambi partono da delle fonti involontarie (diari, fotografie private, documenti sfuggiti all’eliminazione) e volontarie (con precisa funzionalità commemorativa), le confrontano e traggono delle conclusioni più o meno verosimili, creando una gerarchia tra i dati utilizzati che nella maggior parte dei casi segue la legge della maggioranza; qualora sulla totalità delle fonti si verifichi che una minoranza riveli un significato opposto al resto dei documenti, si sceglierà di ritenere tale minoranza come un elemento discordante, influenzato da precise logiche e quindi inaffidabile.
A tal punto, lo storico prenderà una visione d’assieme dei fatti così come li può conoscere e quindi formulerà la propria tesi. Viceversa, il negazionista seguirà una delle due piste parallele costituite (i) dal confrontare le risposte date dalle fonti con la tesi preconcetta e, nel caso di discrepanze, cassare e riadattare i dati plasmandoli in modo da farli aderire alla propria idea; e (ii) l’altra dal formulare un abbozzo di tesi asettica estrapolandola dai dati e verificare poi quanto questa possa cozzare con gli interessi della parte cui si fa rappresentate (sia essa un partito specifico piuttosto che un gruppo o più vagamente un’identità nazionale ad es. quella tedesca, ansiosa di riabilitarsi agli occhi del mondo).
Ho trovato molto interessanti i meccanismi retorici con i quali i negazionisti riescono a inserire in ragionamenti dalla logica apparentemente irreprensibile delle congetture a-logiche che esulano dalla serrata coerenza con le regole della retorica stessa: è qui il caso dell’utilizzo del metodo induttivo dell’exemplum, così come delle critiche pseudo-scientifiche che mirano a smontare un documento basandosi sull’ambivalenza del termine “come” dove nella testimonianza di Hoess(1) sta prima a indicare il “come tecnicamente” era il processo dello sterminio, mentre poi indica il “in che modo/atteggiamento”. Questa virata sottintesa del significato del “come” lascia gioco ai negazionisti per evidenziare inesattezze tecniche dei dati riportati che si riscontrano però solo nella seconda parte, dove l’accento è posto sull’aspetto qualitativo più che su quello quantitativo. Un altro aspetto da sottolineare è l’abilità con la quale i negazionisti sono capaci di rovesciare il significato di una fonte semplicemente ignorando l’utilizzo della figura retorica dell’iperbole in modo da sfruttare il testo in quanto inesattezza scientifica in palese contrasto con altri della stessa estrazione.
A mio parere la vera differenza tra storico e negazionista non sta tanto –come si è soliti credere- nel fatto che il primo sia quanto più obiettivo mentre il secondo si mostri “di parte”, ma piuttosto nella struttura del loro ragionamento dove il primo assembla dati diversi per creare un quadro generale mentre il secondo plasma tali dati sulla tesi a priori. Ogni ricostruzione storica pecca di parzialità, anche solo per la scelta delle parole da utilizzare nella ricostruzione stessa. Cosa sia la verità poi, resta per me un grande interrogativo.
I contemporanei perdono la visione d’insieme che si può avere solo guardando a un fatto da una certa distanza storica, mentre “noi” perdiamo la misura reale dei fatti (l’aria del tempo) perché la nostra è una memoria fittizia e non una reale memoria storica personale. La verità non è certo quella di chi estrapola solo ciò che vuole sentire dalle fonti (che non chiamerò negazionisti in quanto non sono interessata al fatto che neghino o meno lo sterminio, quanto al fatto che barano nel gioco della ricostruzione – piuttosto gli scorretti), ma se una verità “deve” esserci, dobbiamo dedurre che sia quella di chi legittima solo la voce della maggioranza relegando le altre voci a ruoli minori se non sbavature della storia?
Ma se fare storia significa –cito- perpetuare e diffondere la memoria collettiva, non sarebbe più corretto tramandare anche le visioni cosiddette negazioniste in quanto sintomo del desiderio del popolo tedesco post-sterminio di riabilitare la propria immagine agli occhi del mondo?

(1)Rudolf Hoess, in Commandant d’Auschwitz, cit., p. 198, scrive: “La porta veniva aperta una mezz’ora dopo l’adduzione del gas e dopo che la ventilazione aveva rinnovato l’aria. Il lavoro di rimozione dei cadaveri cominciava subito”. “Si eseguiva questo compito con indifferenza, come se esso facesse parte di un lavoro quotidiano. Trascinando i cadaveri, gli uomini mangiavano o fumavano”. Dunque non indossavano delle maschere? domanda l’avvocato Christie (5-1123). Non è possibile maneggiare dei cadaveri, che siano stati in contatto con lo Zyklon B, durante la mezzora seguente e ancora meno mangiare, bere o fumare. Sono necessarie almeno dieci ore di ventilazione perchè non ci sia più pericolo. 

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