L'universo tende segretamente alla vacuità

8 feb 2011

Apnea.

E quando il convoglio arrivò a Birkenau ci restarono solo pochi minuti prima d’essere separate.
“Mamma, dove ci porteranno?”
“Non lo so, piccola mia…”
“Mamma, stamattina tu mi hai detto di non bere tutto il latte, e di lasciarne un po’ per domani.”
“E’ l’ultima volta che ci vedremo e tu sai dire solo questo a tua madre?”
“Mamma, tu non mi hai fatto bere il latte!(testimonianza di una ragazza a Birkenau)


Il treno.
C'è la vecchina che chiede il posto "di fronte" perché a viaggiare storta mi vien la cervicale.
C'è chi preferisce il posto inverso perché lascia qualcuno, qualcosa di bello o importante, e poter prolungare il contatto visivo allevia il dolore del distacco.
C'è chi non guarda mai fuori dal finestrino.
C'è chi scruta gli altri passeggeri.
La vecchina se ne sta invece a guardare in faccia la meta. Mi mette un sacco di ansia. Il posto frontale, non la vecchina.

Auschwitz ti sbatte addosso fotogrammi incomprensibili, selvaggiamente perpendicolari. Non c'è passato, non c'è futuro, c'è un susseguirsi di flash asciutti in continuo divenire, in eterno ritorno. 
Lo sterminio sei tu su quel treno, e non vedi ciò che passa e non vedi neanche la meta: ciò che ti resta sono attimi di luce e forme e colori, botte di impressioni che respiri e mandi giù – cosciente della loro caducità.
Ad Auschwitz tu esisti solo nella misura in cui esistono quei flash d’immagini asciutti, ed è forse questo il dolore più grande: capire che il mondo, lì fuori, va avanti a prescindere che tu lo percepisca o meno.
A morire ci si mette un minuto e mezzo, o meno, e giù subito nella fossa o lì nei forni e poi il fuoco e poi più nulla, in tre minuti o quattro o cinque, il tempo in cui il Generale tedesco si fuma una sigaretta.

"Come, nel forte del temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore" (Promessi Sposi, cap VI)

Auschwitz sei tu sul treno che ti aggrappi a quegli schiaffi di luce e ne resti disorientato; guardi continue successioni ma non vedi nulla.
Tenti un collage ma capire è impossibile, e piano realizzi che in una macabra ironia tu sei lo spettacolo che passa di stazione in stazione (ma il treno non si ferma mai) e vieni osservato da chiunque sulle banchine (ma tu non vedi che macchine scure su una striscia grigia).
Auschwitz è il treno che scorre veloce come tanti prima di lui e che quindi non rimane impresso.
Non si fa notare.
Auschwitz ci ricorda che tuttora giustifichiamo quel che succede altrove, in altre lingue, con altre scusanti.

Il male non ha bandiera.

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